LUCIANO CAPRILE | Luca Dall'Olio
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Luciano Caprile

LUCIANO CAPRILE

VISIONI SUGGESTIVE

Il territorio del fantastico è rifugio privilegiato di tutti coloro che intendono sciogliere, anche con una breve parentesi del pensiero, le tensioni del quotidiano. Ciascuno di noi custodisce nell’intimo immagini consolatorie evocate dall’infanzia ovvero ripescate da uno scrigno di stupefazioni sempre difficili da ripristinare nella loro freschezza e immediatezza propositiva. Il tempo modifica le emozioni, il tempo che passa inquina lo sguardo e il desiderio. Occorrerebbe tornare per un attimo bambini per poter intingere questa aspirazione nell’esatto paesaggio di allora. Mancando tale possibilità occorre rivolgersi a chi è ancora in grado di recepire una simile esigenza e di esprimerla attraverso racconti decantati da ogni contaminazione. Tale risultato lo si può raggiungere entrando in stretto rapporto con le opere di quegli artisti che hanno saputi conservare il magico seme dell’innocenza e della meraviglia. Luca Dall’Olio appartiene a questa rara stirpe di autori capaci di attivare magie inattese, visioni di un mondo da legarsi alla tenera infanzia di ciascuno, ai sogni a occhi aperti inseguiti sul filo incerto del primo scarabocchio accompagnato dalle descrizioni del nostro immaginario piuttosto che assecondato dalla logica di una figura prodotta a stento dalla corsa della matita. E le nostre suggestioni visive erano proprio quelle evocate da Dall’Olio, suggestioni che incontriamo in parte negli articolati racconti di Alinari e ancor di più nei silenziosi scorci di Salvo. Ma nel primo caso fanno la loro invadente comparsa sulla scena personaggi che qui ora non esistono (invece nei quadri di Dall’Olio di qualche anno fa si imponevano anche come icone Guida dei palazzi), mentre in Salvo l’immaginario non supera il limite magico dell’orizzonte di un paesaggio verosimile. Dunque con l’artista bresciano l’approccio è facile e immediato perché la favola è a portata di sguardo e produce anche un poco di rammarico per il limite fisico della tela che impedisce all’osservatore di vivere dal di dentro, da unico, privilegiato protagonista. Infatti non s’incontra anima viva lungo le strade che scavalcano e circondano le colline, nei prati ben curati, nei campi arati e disegnati con estrema accuratezza. Non ci fossero le case, cresciute improvvisamente dal nulla come famiglie di funghi, si direbbe un Paradiso terrestre in attesa di qualcuno che lo meriti e lo abiti. E allora? Siamo noi gli eletti, i fortunati, proprio come nelle favole a lieto fine narrate ai bambini per propiziare la buona notte? A questo punto occorre bloccare per un attimo la nostra foga interpretativa, che ha preso la via nostalgica Della fanciullezza, per far riemergere, almeno un poco, quella parte di noi adulti che intende valutare criticamente ogni situazione diffidando delle troppo facili e indulgenti apparenze. Pertanto tentiamo ora una critica valutazione delle varie tipologie paesaggistiche proposte da Dall’Olio nella non tanto segreta speranza di trovare una chiave di lettura del suo mondo per poterlo fare compiutamente nostro. Possiamo dividere le sue opere in quattro sezioni più una; Partiamo dai paesaggi che si inseguono nella dolcezza dei declivi e nel ritmico arco dei gruppi di alberi che preparano il delicato incontro con l’orizzonte. Sono scanditi da abitazioni costruite sulla sommità delle colline a dominare le valli accarezzate da una luce suadente, dalle rosate tonalità della dolcezza, come si può notare in “L’esistenza” è un sogno e in “Con il corpo e con il cuore”, dove il mare interviene con un’aggiunta di soavità contemplativa e di delicatezza . Il sole lo si indovina nei riverberi di un’alba o di un tramonto, in un rassicurante abbraccio timbrico. Ma torniamo a quelle costruzioni dai tetti rossi che esibiscono una inquietante particolarità: non possiedono porte e finestre. Sono mute di presenze e di suoni. E si propongono quindi come un luogo di impenetrabilità, come dire che un sogno deve restare tale e fermarsi al di qua della cornice di un dipinto. Ma poi si scopre in “Una cosa che è e non è” e in “Raccontami un nuovo mondo” un castello delineato sul fondo del quadro con tanto di merlatura. Il che fa supporre un punto privilegiato di osservazione e quindi la presenza di un osservatore. Che comunque rimane celato ai nostri sguardi, al riparo delle mura. Sembra questo un mondo toccato da un incantesimo che abbia bloccato i gesti della natura e le cose, proprio come succede all’artista che ha fermato per noi questo momento di beatitudine non ulteriormente penetrabile. Per noi si tratta dunque di guardare e non potere, di un supplizio di Tantalo da appendere alle pareti di casa sperando magari di risolvere il rebus della sparizione della gente e dell’assenza di aperture nelle case. Una variante di non trascurabile importanza è fornita in alcune tele dalla presenza di antiche rovine costituite prevalentemente da capitelli d’ambito greco confortate dalla presenza di palme, come possiamo notare in Ribollenti. .. ricordi. … È il segno inequivocabile di una storia che si è consumata su tali sponde, oppure è la trasposizione romantica di un immaginario che ama arricchire il paesaggio di ulteriori apporti, come possiamo ammirare anche in “L’essenziale che basta” e in “Idee che appagano il pensiero”. Un panorama completamente diverso ci attende in una nuova serie di lavori. Per esempio in Angolo di paradiso è mutata la tipologia di alberi: i pini marittimi delle precedenti sequenze sono stati soppiantati dagli abeti che ora popolano non più la rotonda pacatezza delle colline bensì gli aspri declivi delle montagne. Ma la decisiva novità è costituita dagli agglomerati abitativi perforati fino all’eccesso da finestre o da feritoie, mentre gli ingressi sono caratterizzati da amplissimi archi acuti. In primo piano zampilla la fontana di un abbeveratoio accompagnata da una breve staccionata; il cielo è solcato da ampollose, rassicuranti nuvole. la favola si arricchisce dunque di nuovi apporti, non tutti di sguardo felice, ovvero del nostro sguardo immerso ancora nelle preoccupazioni della fanciullezza: le finestre dei palazzi paiono occhi e gli archi bocche spalancate che ci fanno riandare per un attimo a Dall’Olio di qualche anno fa allorché amava collocare grandi volti misteriosi a guardia delle soglie. Qyi il volto è tutto immaginato, percepito dalla fantasia di chi, in tempi ormai lontani e in particolari situazioni di disagio o di paura, era indotto a scoprire nelle cose dalle sembianze umane o animali. Le favole avevano e hanno ancora questi risvolti poco rassicuranti da rivolgere come monito ai bambini disubbidienti. E noi ora, che non siamo più bambini, non sappiamo come comportarci di fronte ad un possibile rimprovero occulto del nostro autore. Giova forse cercare riparo in qualche altra immagine, in “Non posso separarmi dai sogni”, dove la costruzione pluriocchiuta, sopravanzata da una cupola orientaleggiante rossa e blu, ha come contraltare un più rassicurante castello e il rinfrescante zampillo di una cascata. A uniformare il mondo fantastico di Luca Dall’Olio interviene un cielo che improvvisamente si anima di una vita notturna costituita da lune rotanti, da globi stellari, da scie luminose che attraversano l’orizzonte nel formare un ricciolo di splendore. La scena si anima e si incorona di un supplemento di magia e d’incanto grazie alle varie tonalità con cui si disponga un tale firmamento di sorprese. “Si realizzano i nostri desideri” esibisce questa acquisita navetta in un graduale d’azzurro tra un cielo e un mare scanditi dall’alternanza di dolci e variegate colline, di torri e di case silenti, di creste di pini marittimi; il violetto di “Angolo di paradiso” scende invece dall’infinito a sorprendere le acque che giungono a lambire quei reperti archeologici che ritroviamo sotto la volta lattiginosa e soffice offerta da “Mi piace ammirarti”. E le occasioni di connubio e di sorpresa si moltiplicano perché il caleidoscopio celeste di Dall’Olio erutta soluzioni combinatorie di carattere timbrico ed emozionale capaci di rinnovare di continuo lo spirito di un panorama incantato. A tale festa mancano solo i dipinti con le case animate da porte arcuate e da finestre oculari che forse rifuggivano concettualmente da tale aggiunta di soavità e di mistero. Alla nostra disamina manca solo un tassello, quel “più uno” dichiarato in avvio e che si riferisce a due opere apparentemente estranee al ragionamento che si è fatto fino adesso. Si tratta di lavori dal carattere astratto-informale dove la figurazione fantastica lascia il passo a frammenti annegati in un fondale a trama uniforme. “Labirinto d’amore” si propone come un dispiegamento cellulare su una base tracciata nell’azzurro: pare proprio l’indagine microscopica di un mondo inarrivabile allo sguardo del quotidiano, una sensazione rinnovata da “Notte di sogno” e dagli elementi stellari annegati in una presunta liquidità che li evidenzia. Ma ora ci coglie una suggestione ulteriore e un dubbio, e se Dall’Olio con questa sorpresa ci avesse voluto indicare la via di un sogno che possiamo intraprendere grazie all’indagine più intima della realtà? E se tali prove non fossero altro che frammenti di quel cielo popolato di infinite varianti di stupore? Cambierebbe qualcosa? Non cambierebbe nulla. Sarebbe comunque per noi un ulteriore invito a indagare un mondo che comunque ci appartiene, che abbiamo felicemente posseduto nei tempi magici della spensieratezza e che ora Luca Dall’Olio ci ripresenta con la perentoria ineluttabilità della rivelazione.

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